Cari imprenditori, è ora di smetterla.

“Ne usciremo migliori”, dissero molti italiani nel Marzo 2020 sulle tastiere dei propri dispositivi. Ecco, non credo proprio sia andata così, oggi lo possiamo constatare tramite molti polveroni che noi italiani siamo soliti alzare, ma che in questi mesi siamo diventati ancora più abili a sollevare: è solo un raffreddore, riaprite le scuole, i ristoranti, le discoteche, vaccinatevi, non vaccinatevi con astrazeneca, non sono una cavia, il rigore per il Milan non c’era, l’Inter fa il catenaccio e contropiede, i Maneskin non sono rock e Bernardeschi è un raccomandato.

È ormai insito nella nostra natura, essere polemici verso ogni cosa che abbiamo la pretesa di voler capire più degli altri. E sull’internette, alla fine, ogni gara di commenti, pieni di insulti e saccenza, finisce che non frega più un cazzo a nessuno dopo 4 giorni. Perché l’importante è lamentarsi. Se non altro, finché si parla di cose veniali, direi che va anche bene così, non partono vere guerre, correnti di pensiero o nuove ideologie estreme di massa. Ci piace solo dare adito al nostro personalissimo livore.

Ma nel corso della pandemia, una guerra che tutto sommato c’è sempre stata ma nessuno la voleva affrontare seriamente perché si sa, come diceva Churchill la guerra per noi è una partita di calcio, e la partita di calcio è una guerra (contribuiscono alla tesi gli stessi austriaci che non passano il Piave mormorante nemmeno portandola ai supplementari). La pandemia ha dovuto dare per forza una scossa a questa guerra fantasma che ignoravamo in molti: lavoratori vs imprenditori.

Prima abbiamo mandato a fanculo tutti quelli che erano imprenditori o semplicemente possessori di partita IVA, senza fare distinzioni, un grande classico. Poi però col passare dei mesi hanno risposto alla grande gli imprenditori: manifestanti che pagavano in nero, sondaggi evidenzianti la mancanza di persone specializzate nel lavoro per il quale erano assunti, però il lavoro non c’è e la disoccupazione è sempre ai massimi storici, costantemente sopra il 30%. Tranquilli però, arriva il ricambio generazionale, arriva Draghi, tutti contenti e nessuna critica.

Ora, stabilire chi è in torto è quasi impossibile, tante persone hanno buoni motivi e in realtà poche hanno motivazioni illogiche dietro loro azioni e pensieri, e stabilire chi ha più torto o più ragione non serve a nulla di concreto.

Ma voglio prendere una posizione: il 90% degli italiani “fatica”, si fa il mazzo, si alza la mattina, consuma e paga bollette, è risaputo e dimostrato. Sono francamente stufo di sentire di imprenditori che giustificano le loro azioni furbe e spesso illegali con “non sapete cosa significa, è facile parlare”. Certo, è facile vivere per noi poveri ingenui popolani senza partita IVA o senza tasse pagate. Risparmiateci le solite prediche da boomer inevoluti. “Non siamo tutti così”, sicuramente, ma dal fermento che esprimete coi media, non sono pochi “quelli così”, anzi, sono e saranno sempre troppi.

Comunque in questa guerra, la risposta finale (o almeno l’ultima più recente) la stanno dando i lavoratori: parrebbe che sempre più persone stiano rifiutando di farsi sfruttare, preferendo restare a casa senza soldi. E la risposta migliore degli imprenditori che ho visto è stata pubblicare offerte di lavoro direttamente dai portali di informazione, neanche più dalle aziende per il lavoro: roba tipo “cerchiamo addetto pulizie con esperienza”.

Davvero, adesso mi volete far credere che serve saper fare le giuste diagonali col mocio Vileda? Mi dispiace, cari miei imprenditori della bella “Italietta”, dove pensate che tutto sia ottenibile con poco, è ora che vi mettiate in testa che molte persone sono stufe di essere sfruttate e non gliene va di comprendere le vostre ragioni, non ne hanno una motivazione valida, a differenza vostra che nel momento in cui decidete di diventare imprenditori, sapete che vi tocca anche per legge pagare contributi, tutelare i propri dipendenti e rendere la vostra macchina produttiva efficiente.

Se devo scegliere una parte, scelgo sempre il popolo, compresi i suoi errori e le eccessive reazioni ai problemi, perché ho visto imprenditori in difficoltà stringere i denti e lamentarsi anche con calme o logiche motivazioni, ma sono veramente pochi. Il fatto che esistano, però, dovrebbe rendere possibile vedere questi sforzi anche in tutti gli altri. E per la statistica, unica variabile di cui mi fido quando si tratta di grandi dimensioni, negheremmo l’evidenza se dicessimo che gli sfruttati sono in buona parte di quel 90% di lavoratori italiani.

Nessuno vi vieta di lamentarvi, ma semplicemente, fatevi un esame di coscienza. Perché sono stanco di vedere giovani che non riescono a trovare uno straccio di lavoro sicuro o duraturo, magari anche dopo aver terminato studi, voi che pensate di fare business di successo alzando i prezzi strategicamente, voi che pretendete di assumere solo gente già formata che spesso neanche vi va bene e mandate via (i famosi “apprendisti ma con esperienza”) voi che promettete di assumere e poi provate ad appioppare ai malcapitati un contratto a provvigioni, che fate apparire la vendita come la cosa più semplice del mondo, che credete di illudere tanti di evolversi subito in imprenditori, che ci mettete a credere che siamo stati contattati per qualità che in realtà sappiamo di non avere ma che voi millantate di averle viste nel nostro curriculum…

Basta, basta con le prese in giro, con i sotterfugi per lanciarci l’esca e portarci lì vicino a voi fino all’ultimo, con l’ottimismo che tuttora neanche voi avete mai avuto, ma che anzi lo vendete, perché forse non vi serve quando basta stimolarlo in poveri disgraziati con umili ambizioni di vita e onestissime aspettative che al 99% non siete disposti a rispettare.

Basta, fatevi un paio di esami di coscienza e chiedetevi se potete quantomeno correggere qualcosa, lavorare sulla vostra flessibilità, e soprattutto sulla vostra onestà. Perché onestà non è obbligatoriamente legalità, non sono qui a dirvi di fare ogni cosa come la vuole il sistema, sono responsabilità vostre e rischi vostri, non è il pincopallino del web di turno a potervi giudicare. Sono qui a dirvi che avete bisogno di una rete di persone fidate, non di galoppini e lustratori di scarpe, quello che invece troppo spesso, forse sempre, cercate.

Ci sono tanti giovani disposti a darvi seriamente una mano, che senza le precise competenze ed esperienze che cercate, magari sanno imparare e darvi nel tempo ciò che volevate, ma non gliene date mai occasione. Rifletteteci, prima di dimenare su quella tastiera o in una sede di lavoro. Se l’imprenditore possiede una cosiddetta impresa, perché non vuole ascoltare l’opinione generale dei lavoratori, ma i lavoratori devono capire lui?

Idealismo sociale sportivo: una filosofia di vita “anarchica”, e non ben accetta.

Lo sport, come il cinema, la musica, la letteratura, la pittura, l’architettura e la scultura, altri non è che una forma d’arte.

Non sei d’accordo? Comprensibile, in molti già davanti a una simile affermazione tendono a metterla subito in discussione.

Eppure, proprio come qualsiasi forma d’arte, hai la libera scelta di esserne praticante, disinteressato, seguace di qualsiasi sua corrente tu voglia seguire e non. Una volta, in una nota vecchia trasmissione calcistica di stampo comico, un famoso critico d’arte disse “un calciatore produce un’emozione identica a quella di un artista”. Può far sorridere molti, ma non era poi così lontano dalla verità.

Nei secoli precedenti la nascita degli sport che oggi sono conosciuti come tali, il popolo non aveva la cultura sportiva di oggi, perché lo sport era vicino al popolo in meno occasioni: ricordiamo sicuramente le Olimpiadi dell’Antica Grecia o il calcio fiorentino, ma non girava nel mondo la miriade di informazioni che gira oggi, e non parlo solo di internet, questo discorso valeva anche nei decenni o secoli prima, con l’avvento di giornali, poi radio, tv, e solo infine computer e smartphone.

L’accesso visivo o anche solo uditorio a informazioni sportive, ha permesso al popolo di coltivare l’interesse per lo sport, al punto di sviluppare negli anni vere e proprie passioni per atleti, squadre o per la disciplina in generale.

Ed è qui che comincia il mio discorso: da cosa nasce la passione? Molte volte la spiegazione è semplice: la famiglia o l’amico stretto che ti trascina nella passione, che a sua volta è stata influenzata da qualcun altro, analogamente al tuo caso. È sbagliato? Chi può dirlo, non siamo giudici o profeti, in fondo il rapporto con una figura della propria vita è alla base di tutte le correnti artistiche e filosofiche, basta pensare a tutti i quadri famosi della storia di famiglie, madri con il proprio bambino, o alla rivoluzionaria psicologia di Freud, aperta a mille analisi di una mente umana. Avete visto? Già siamo tornati a paragonare interesse sportivo e interesse artistico.

Comunque sia, l’interesse di una persona per uno sport, anche quando diventa passione, perfino attaccamento, offre una scelta, una strada che puoi decidere di imboccare in ogni periodo della tua vita. Comoda, no? Non è detto che sia una strada più sicura, perché una strada accessibile a tutti in ogni momento in fondo, può attirare ogni genere di traffico e tortuosità. E forse proprio per questo, la scelta di vita di cui parlo, spaventa silenziosamente il subconscio anche dei più audaci.

Già vi sento, “ma come, stiamo solo parlando di sport, cosa mai può nascondersi di così spaventoso dietro delle semplici passioni che in genere non hanno alcun effetto diretto su di noi?”. Ve l’avevo già detto e ve lo ridico, la sensibilità artistica è dietro l’angolo, anche nello sport. La scelta di cui parlo, si presenta non appena vieni definitivamente influenzato dalla suddetta persona: usare la passione come trampolino per qualcosa di più grande. Mi spiego meglio con un esempio.

Inizi a seguire il calcio, lo sport più popolare. Vieni probabilmente invitato a tifare, a sostenere una squadra, per un non preciso motivo, se non inizialmente emulare la persona che ti ha influenzato. Il tempo poi passa, ti stacchi dalla copia che eri di quella persona e ti fai una tua idea di quella squadra, e di quello sport. Sviluppi in molto tempo delle tue convinzioni che più vai avanti, più è difficile cambiare. È normale, ci passi magari anni a costruirle, non puoi metterci poco tempo a sostituirle.

Ma la scelta è sempre lì dietro l’angolo: davvero l’interesse per uno sport può essere riducibile a una sola disciplina, o addirittura a una sola squadra, a un solo atleta? Con la fortuna che abbiamo oggigiorno di accedere a tantissime informazioni e visione dettagliata dei contenuti sportivi, non è uno spreco fermare i propri interessi a una sola cosa? In fondo, per oltre duemila anni, l’arte e l’umanità sono andate avanti sempre con l’evoluzione, guardando sempre oltre l’orizzonte. Non abbiamo il metro di giudizio per le scelte di vita di una persona, è giusto ribadirlo, ma è oggettivo notare che in tanti secoli, qualsiasi cosa buona o nociva per la società, sia stata frutto di evoluzioni, di cambiamenti.

Se non vi ho convinto neanche ora sulla propensione artistica dello sport, allora siete nel vostro giusto, e non mi interessa convincervi per forza. Siete persone ferme sulle proprie posizioni, e questo atteggiamento ha fatto onore a tante persone nella storia, spero sarà così anche per voi. Se invece eravate d’accordo, o vi siete convinti che questa idea è una realtà, andiamo avanti.

Abbiamo detto che la vita dà sempre questa scelta, nello sport e in ogni influenza artistica che riceviamo in un certo momento: ampliare il campo di interesse, è una cosa che può suscitare nel tempo altre emozioni positive o anche negative, sta a noi scegliere se accogliere entrambe (non per parlare di esoterismo, ma lo yin e lo yang ci saranno sempre). Nello sport l’ampliamento si traduce in seguire altri sport, seguire più competizioni, distinguerne le caratteristiche che caratterizzano l’impegno degli atleti, gli artisti di queste produzioni di interesse per il loro impegno.

E finalmente arriviamo a ciò che il titolo dell’articolo sintetizza a malapena: idealismo, società, sport, anarchia. Come si fa a trasformare la passione per lo sport in idealismo? E perché dovrebbe contare qualcosa nella società? Cosa c’entra l’anarchia?

È molto più indiretto e semplice di quanto possa sembrare: nel tempo diventiamo persone con una propria idea per ogni cosa che arriviamo a comprendere. Molte volte però, per via delle tante influenze e insegnamenti che riceviamo, arriviamo a una certa età, vi direi a occhio e croce tra i 15 e i 25 anni, con tante idee prese da una parte o da un’altra, e magari non le abbiamo davvero tutte unite, fino a crearne una rappresentazione ordinata di ciò che siamo, di ciò che ci appassiona. Molti non hanno interesse nel farlo, altri sì, la differenza sta nella famosa scelta di ampliamento, quella strada che si può sempre prendere, anche quando è passato tanto tempo e può risultare eventualmente un po’ più difficile.

Io sono tra quelli che adora farlo, e vi dico ora col mio personale esempio perché secondo me può essere una chiara esplosione artistica di emozioni e passioni coltivate. Ok, io adoro la musica blues e rock: insieme raccontano la storia di tante persone che hanno resistito a tante sofferenze, a tanta ingiustizia, a tanta mancanza di beni di prima necessità, culturali e non (a proposito, siete in un sito che si espone chiaramente in nome dell’anarchia, scordatevi che qui esista razzismo o disprezzo per persone che soffrono).

Un artista che adoro per esempio è stato Jimi Hendrix, portatore del blues e di sound proposti da artisti precedenti a lui nelle sonorità poi raccolte nel genere rock, che ha decretato lui e i suoi predecessori come capostipiti del genere. Jimi nasce a Seattle, forse la città più anarchica d’America: conosciamo il sistema statunitense, non siamo qui oggi per fare dibattiti politici, ma è risaputo che Seattle per tanti anni è stata la città più contraria alle dinamiche sociali e politiche degli USA.

Seattle è stata in questo senso, una grande meta anarchica della cultura statunitense ma anche mondiale, influenzando musica, cinema e arte per tanto tempo. Nel 2021 o nel 2022 tornerà probabilmente nella NBA la squadra di pallacanestro storica di questa città, i Seattle Supersonics. La squadra che ha fatto la storia nella città di Jimi Hendrix e anche di Kurt Cobain e del genere grunge, che nacque più come corrente di pensiero che come solo genere musicale. Una corrente di ribellione, di coraggio di andare avanti per la propria strada seguendo un proprio credo sviluppato con l’esperienza di vita. Riuscite a percepire adesso l’esplosione di emozioni di cui scrivevo poco fa?

Ognuno può avere una sua versione di questo tipo di esplosione, la adoro come dicevo perché è una grande rappresentazione artistica di ciò che ho conosciuto ed apprezzato in storia, sport, musica e società. Avete notato che non ho voluto parlare di politica? Perché in fondo è vero, bisogna scindere l’interesse artistico dal proprio credo politico, che mai come ora nel mondo è lontano da quel che si può definire arte. Ma va detto che tutti hanno un ruolo nella società, bene o male, e l’anarchia di cui parlo mi piace immaginarla così: come una resistenza a ciò che dà una confusa interpretazione di sé stessi e dei propri piaceri e interessi, senza un filo conduttore, senza la strada principale che puoi sempre cercare di seguire nella vita.

Lo sport non fa eccezione, come avete visto. La mia anarchia è quella di non essere l’italiano medio, perché più mi guardo intorno e più vedo individui di questo genere: confusi, che seguono una lista di cose senza un collegamento artistico tra loro, senza una voglia di ampliare il loro campo di interessi. Troppe volte vedo tifosi, persone che seguono qualcosa perché gliel’hanno tramandato i propri cari, senza mai autocriticarsi, senza mai pensare che forse quella fede sportiva non la sta seguendo dalla migliore posizione che può prendere come individuo a livello artistico nella società. Ecco, questo spaventa secondo me molte persone, si instilla in loro la paura di apparire incoerenti al prossimo, come se dire a sé stessi e al mondo “ho sbagliato” sia obbligatoriamente una vergogna sempre e comunque. E invece capita anche che risultino più ipocriti continuando a giustificare la verità e le idee che si erano costruiti negli anni della crescita, si sentono di aver buttato una grossa fetta della loro vita, quando in realtà altri non è che esperienza da cui imparare.

È vero, non sono giudice, nessuno lo è, l’ho già detto, ho però questa ossessione artistica, che vorrei vedere troppo spesso in tanti altri, di unire i puntini di questo enorme quadro in stile puntinista che è la storia della mia vita e della nascita dei miei interessi: il blues, il rock, la resistenza degli afroamericani agli oppressori, il talento culturale, musicale o sportivo che nasce dalla fame di persone con voglia di cambiare il proprio mondo e la propria vita.

E l’anarchia si sposa alla perfezione con tutto questo: mettere in discussione tutto e tutti, non solo gli altri, ma anche sé stessi, fare autocritica, capire dove migliorarsi, al fine di avvicinarsi sempre di più a una perfezione che in fondo già sai non raggiungerai mai. L’anarchia per principio prevede una società di individui perfetti, autonomi, sappiamo per capacità di immaginazione che è probabilmente impossibile realizzarla. La traduzione concreta nella vita di una persona che si sente anarchica, è perciò essere contro per natura, sebbene conscio che il suo mondo ideale non esiste e non esisterà mai, ma può viverlo per tappe di una lunga strada che puoi imboccare sempre, accettando ciò che si riesce ad ottenere e concretizzare, segnando e ricordando con piacevole nostalgia i traguardi raggiunti. E tutto sommato, la vita è bella anche così.